Pubblico, con piacere, un interessante articolo di Francesca Chirico, apparso originariamente su linkiesta.it e poi rilanciato da CALABRIA AGROALIMENTARE su FaceBook.
IL CASO / MOBILITAZIONE ONLINE CONTRO UNA MODA CHE STA SFIGURANDO LE CAMPAGNE DI PUGLIA E CALABRIA. RICHIESTA ALL' UNESCO PER DICHIARARE LE PIANTE PATRIMONIO DELL' UMANITÀ
Buona lettura.
foto tratta da www.ulivisecolari.com |
"IL NORD E LA 'NDRANGHETA STRAPPANO AL SUD ANCHE GLI OLIVI SECOLARI"
di Francesca Chirico
Olivi estirpati a scopo decorativo: una linea che sale per tutta Italia, raggiunge i giardini... del Nord svuotando le zone del Mediterraneo. In Calabria, dove si viveva di olivicoltura, nuove norme comunitarie hanno trasformato l’olivo in un’inutile presenza antieconomica. Ignorando il destino delle zolle rimaste vuote.
“Gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno”. Lo faceva notare Sciascia ne Il giorno della Civetta. La linea dell’olivo, invece, l’hanno spostata gli uomini. A bordo di tir e dentro container, negli ultimi dieci anni l’hanno trascinata lungo le autostrade italiane, dalle campagne di Calabria e Puglia fin dentro le nebbie e le gelate mattutine del Nord: nei giardini delle ville in Veneto, nei parchi degli hotel lombardi, sul bordo di piscine piemontesi. Estirpato dal luogo d’origine, l’olivo è diventato il pezzo pregiato di tante location, ovviamente a condizione di essere secolare, monumentale e suggestivamente nodoso. Con un’operazione che, nell’esclusivo rispetto delle regole della domanda e dell’offerta, ha ignorato altri elementi. Primo tra tutti, il destino delle zolle rimaste vuote a Sud.
Con oltre 2 milioni di piante, il 70% della superficie occupata da oliveti, e una specie che non ha eguali per bellezza e dimensioni, la Piana di Gioia Tauro è tra i principali fornitori di un mercato partito in sordina agli inizi del Duemila, e oggi dilagante tra annunci di privati su siti on line e servizi di aziende specializzate. Il messaggio è quasi sempre lo stesso: «Vendo bellissimi olivi secolari calabresi, possibile scegliere tra diverse dimensioni, ottimi per decorazione di ville e giardini». Davvero uno strano scherzo del destino.
Nella Piana di Gioia Tauro l’olivo non è mai stato considerato decorativo. Piuttosto è andato a braccetto con il sudore, il pane, le battaglie civili, la resistenza. Le lotte bracciantili degli anni Cinquanta si tradussero da queste parti proprio nell’occupazione degli oliveti dei grandi proprietari e nelle rivendicazioni di dignità e diritti per le raccoglitrici d’olive. Sotto le fronde le battaglie non sono mai finite.
A partire dagli anni Settanta la ’ndrangheta fu impegnata in veri e propri espropri mafiosi, a colpi di minacce, incendi, furti, danneggiamenti. Il barone Antonio Carlo Cordopatri, proprietario di vasti terreni a Castellace di Oppido Mamertina, fu assassinato nel 1991 per non aver ceduto i suoi oliveti al clan dei Mammoliti. Mentre oggi, sulle proprietà confiscate proprio alla cosca Mammoliti raccolgono le olive e imbottigliano l’olio i ragazzi della cooperativa “Valle del Marro”, nata nel 2004 da un progetto di Libera. Insomma, motore dell’economia, elemento identificativo del paesaggio, monumento alla memoria collettiva e alla storia, l’olivo è la Piana di Gioia Tauro. Ma molti, nella Piana di Gioia Tauro, non sembrano più pensarla così.
La crisi dell’olivicoltura calabrese, vincolata agli aiuti comunitari che integrano i prezzi sempre più bassi del mercato globale, e il nuovo criterio di assegnazione dei contributi previsto dalla Pac europea post-2013, con una probabile, drastica riduzione degli aiuti, hanno per molti proprietari trasformato l’olivo in un’inutile presenza antieconomica. E che qualcuno, dalla linea gotica in su, sia disposto a pagare fino a 10.000 euro per un solo albero ad alcuni non sembra neanche vero. C’è da capire: alla promessa bugiarda del Quinto Centro siderurgico, previsto dal pacchetto Colombo, di oliveti la Piana di Gioia Tauro ne aveva sacrificato centinaia di ettari. E dei 7.500 posti di lavoro promessi non ne ha vista neppure uno.
Insomma, una volta individuata la domanda, l’offerta di alberi monumentali, ma anche di intermediari e di servizi si è ben presto specializzata, con l’affermazione di alcune ditte locali, capaci di offrire cataloghi fotografici e contatti con l’estero. E il sospetto che anche in questo business le cosche si siano ritagliate il proprio spazio. Ma la legge che dice? Fino al 2009, anno in cui la Calabria approva la prima norma a tutela degli alberi monumentali, a fissare le regole c’era solo un vecchio decreto del 1945 (decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475) che prevedeva la possibilità di estirpare gli olivi improduttivi, a prescindere dalle loro caratteristiche di pregio. Unica condizione, un accertamento dell’ispettorato provinciale. Nei fatti, e da queste parti, un cavillo di nessun conto.
Nell’ottobre scorso è stata invece varata la prima norma sulla “Tutela e valorizzazione del patrimonio olivicolo della regione Calabria” (n.236 del 18 ottobre 2012). La legge, che ha istituito il registro degli alberi monumentali d’olivo vietandone l’estirpazione, ha introdotto pesanti sanzioni pecunarie per chi vende, estirpa, trasporta e acquista olivi senza autorizzazione. Ma in attesa dei regolamenti attuativi e della compilazione del registro, la legge è ancora solo sulla carta. E il business prosegue a gonfie vele. Sul solco ideale di altre “svendite” del territorio.
A questo articolo, ritrovato in rete sempre grazie a CALABRIA AGROALIMENTARE, ne aggiungo uno, meno recente (24 agosto 2003), apparso sul corriere (archiviostorico.corriere.it) a firma di Paolo Conti.
di Francesca Chirico
Olivi estirpati a scopo decorativo: una linea che sale per tutta Italia, raggiunge i giardini... del Nord svuotando le zone del Mediterraneo. In Calabria, dove si viveva di olivicoltura, nuove norme comunitarie hanno trasformato l’olivo in un’inutile presenza antieconomica. Ignorando il destino delle zolle rimaste vuote.
“Gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno”. Lo faceva notare Sciascia ne Il giorno della Civetta. La linea dell’olivo, invece, l’hanno spostata gli uomini. A bordo di tir e dentro container, negli ultimi dieci anni l’hanno trascinata lungo le autostrade italiane, dalle campagne di Calabria e Puglia fin dentro le nebbie e le gelate mattutine del Nord: nei giardini delle ville in Veneto, nei parchi degli hotel lombardi, sul bordo di piscine piemontesi. Estirpato dal luogo d’origine, l’olivo è diventato il pezzo pregiato di tante location, ovviamente a condizione di essere secolare, monumentale e suggestivamente nodoso. Con un’operazione che, nell’esclusivo rispetto delle regole della domanda e dell’offerta, ha ignorato altri elementi. Primo tra tutti, il destino delle zolle rimaste vuote a Sud.
Con oltre 2 milioni di piante, il 70% della superficie occupata da oliveti, e una specie che non ha eguali per bellezza e dimensioni, la Piana di Gioia Tauro è tra i principali fornitori di un mercato partito in sordina agli inizi del Duemila, e oggi dilagante tra annunci di privati su siti on line e servizi di aziende specializzate. Il messaggio è quasi sempre lo stesso: «Vendo bellissimi olivi secolari calabresi, possibile scegliere tra diverse dimensioni, ottimi per decorazione di ville e giardini». Davvero uno strano scherzo del destino.
Nella Piana di Gioia Tauro l’olivo non è mai stato considerato decorativo. Piuttosto è andato a braccetto con il sudore, il pane, le battaglie civili, la resistenza. Le lotte bracciantili degli anni Cinquanta si tradussero da queste parti proprio nell’occupazione degli oliveti dei grandi proprietari e nelle rivendicazioni di dignità e diritti per le raccoglitrici d’olive. Sotto le fronde le battaglie non sono mai finite.
A partire dagli anni Settanta la ’ndrangheta fu impegnata in veri e propri espropri mafiosi, a colpi di minacce, incendi, furti, danneggiamenti. Il barone Antonio Carlo Cordopatri, proprietario di vasti terreni a Castellace di Oppido Mamertina, fu assassinato nel 1991 per non aver ceduto i suoi oliveti al clan dei Mammoliti. Mentre oggi, sulle proprietà confiscate proprio alla cosca Mammoliti raccolgono le olive e imbottigliano l’olio i ragazzi della cooperativa “Valle del Marro”, nata nel 2004 da un progetto di Libera. Insomma, motore dell’economia, elemento identificativo del paesaggio, monumento alla memoria collettiva e alla storia, l’olivo è la Piana di Gioia Tauro. Ma molti, nella Piana di Gioia Tauro, non sembrano più pensarla così.
La crisi dell’olivicoltura calabrese, vincolata agli aiuti comunitari che integrano i prezzi sempre più bassi del mercato globale, e il nuovo criterio di assegnazione dei contributi previsto dalla Pac europea post-2013, con una probabile, drastica riduzione degli aiuti, hanno per molti proprietari trasformato l’olivo in un’inutile presenza antieconomica. E che qualcuno, dalla linea gotica in su, sia disposto a pagare fino a 10.000 euro per un solo albero ad alcuni non sembra neanche vero. C’è da capire: alla promessa bugiarda del Quinto Centro siderurgico, previsto dal pacchetto Colombo, di oliveti la Piana di Gioia Tauro ne aveva sacrificato centinaia di ettari. E dei 7.500 posti di lavoro promessi non ne ha vista neppure uno.
Insomma, una volta individuata la domanda, l’offerta di alberi monumentali, ma anche di intermediari e di servizi si è ben presto specializzata, con l’affermazione di alcune ditte locali, capaci di offrire cataloghi fotografici e contatti con l’estero. E il sospetto che anche in questo business le cosche si siano ritagliate il proprio spazio. Ma la legge che dice? Fino al 2009, anno in cui la Calabria approva la prima norma a tutela degli alberi monumentali, a fissare le regole c’era solo un vecchio decreto del 1945 (decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475) che prevedeva la possibilità di estirpare gli olivi improduttivi, a prescindere dalle loro caratteristiche di pregio. Unica condizione, un accertamento dell’ispettorato provinciale. Nei fatti, e da queste parti, un cavillo di nessun conto.
Nell’ottobre scorso è stata invece varata la prima norma sulla “Tutela e valorizzazione del patrimonio olivicolo della regione Calabria” (n.236 del 18 ottobre 2012). La legge, che ha istituito il registro degli alberi monumentali d’olivo vietandone l’estirpazione, ha introdotto pesanti sanzioni pecunarie per chi vende, estirpa, trasporta e acquista olivi senza autorizzazione. Ma in attesa dei regolamenti attuativi e della compilazione del registro, la legge è ancora solo sulla carta. E il business prosegue a gonfie vele. Sul solco ideale di altre “svendite” del territorio.
A questo articolo, ritrovato in rete sempre grazie a CALABRIA AGROALIMENTARE, ne aggiungo uno, meno recente (24 agosto 2003), apparso sul corriere (archiviostorico.corriere.it) a firma di Paolo Conti.
foto tratta da www.ulivisecolari.com |
IL CASO / MOBILITAZIONE ONLINE CONTRO UNA MODA CHE STA SFIGURANDO LE CAMPAGNE DI PUGLIA E CALABRIA. RICHIESTA ALL' UNESCO PER DICHIARARE LE PIANTE PATRIMONIO DELL' UMANITÀ
di Conti Paolo
Dilaga la tratta degli ulivi secolari Sud depredato per i giardini del Nord
Gli ambientalisti: si distruggono panorami storici. E la pianta non sopravvive
Il messaggio online parte dalla provincia di Treviso e raggiunge www.gruppopugliagrotte.org, sito di speleologi e naturalisti pugliesi che ha attivato una finestra («aiuto ci rubano gli ulivi!») sulla tratta di alberi centenari, talvolta millenari, estirpati dalla loro terra. Avverte Cris: «Non so cosa ci facciano centinaia di ulivi a Castelfranco Veneto grossi 1-2 metri, mozzati e riposti in sacconi di nylon... Mi fa schifo pensare che qualcuno ci guadagni sopra questo mercato di capolavori vegetali. Per finire dove? In qualche giardino di un riccone pien de schei e ignorante? Non ho le prove che quegli ulivi siano tutti pugliesi, che depredino la vostra terra. Non voglio accusare nessuno. Dico solo: attenti a quello che succede nelle vostre campagne, perché ogni albero che viene sradicato e portato al Nord è l' equivalente per Venezia di una picconata sul pavimento di San Marco». Nord chiama Sud nel nome dell' ecologia. E non è un caso isolato. Anche su www.sitibellunesi.it/ulivi c' è chi racconta (in dialetto locale) e documenta con tanto di foto il fenomeno delle piante «esportate» dal Sud al Nord. I prezzi? Una media di 5 mila euro a pianta che possono diventare 10 o 12 mila, se non di più, quando i fusti sfiorano il mezzo millennio: più sono nodosi, contorti e simili a straordinarie sculture e più il prezzo lievita. Merce rara al Nord, che ovviamente fa gola. Sulla prima pagina del sito www.brianzaweb.it/guida alla voce «agricoltura e giardinaggio» c' è un operatore, con tanto di recapito telefonico, che assicura orgoglioso: «Vendita di ulivi secolari e millenari provenienti dal Salento, inzollati da tre anni». Il Sud sa benissimo di cosa si tratta. Le associazioni ambientaliste pugliesi e calabresi (soprattutto Italia Nostra e Wwf) da anni si battono contro lo sradicamento di ulivi persino millenari che vengono drasticamente potati e deportati nei vivai lombardi e veneti in una zolla di terra protetta da un telone di plastica. Ma pure nel Lazio, sulla via Pontina nel tratto tra Roma e le spiagge alla moda (Sabaudia, Circeo, Sperlonga), molti vivai vendono ulivi secolari ridotti nelle stesse condizioni. L' operazione (ed è questo il cruccio di molti ambientalisti) può essere legale. Un vecchio decreto luogotenenziale del 27 luglio 1945 vieta l' abbattimento degli ulivi ma lo permette nei casi di «permanente improduttività» a patto che il proprietario del fondo collochi una pianta nuova: basta una domanda (un tempo alla locale Camera di commercio, oggi all' ispettorato provinciale dell' Agricoltura) e il gioco è fatto perché un ulivo secolare può essere considerato tecnicamente «improduttivo» rispetto a uno giovane. Molte regioni hanno varato leggi regionali per vietare tassativamente il massacro: il Piemonte nel 1995, la Toscana nel 1998 e lo stesso Veneto nel 2002. Ma le due regioni più ricche di ulivi antichi, cioè la Puglia e la Calabria, ne sono completamente sprovviste. E così le campagne si sfigurano. Con compravendite «regolari»: due o tre centinaia di euro al vecchio contadino che non coltiva più il suo fondo e ha i figli ormai trasferiti in città. Nelle tenute più vaste e isolate (è successo in Puglia a Fasano) si arriva addirittura ai furti notturni con tanto di pala meccanica. Panorami secolari cambiano volto per sempre. In Puglia, intorno ai laghi di Conversano, le chiazze cominciano a diventare visibili e lasciano il posto a coltivazioni più redditizie (l' uva da vino): e così capita a Rutigliano. In Calabria la zona di Reggio conosce lo stesso fenomeno. Si segnalano «sparizioni» a Cirò Marina dove gli ambientalisti si sono da poco (inutilmente) battuti contro l' abbattimento di 280 ulivi secolari per far posto a un piano di ampliamento industriale. Il Wwf di Amantea ha documentato un anno fa il continuo viavai di Tir carichi di ulivi secolari sulla Statale 18 Tirrenica inferiore. Un lavoro facile, l' Italia è una miniera di ulivi. Secondo alcune stime di massima l' Italia dovrebbe ospitare 120-130 milioni di esemplari di Olea Europea contro i 50 della Spagna o i 30 della Grecia. La Puglia da sola ne avrebbe 15-20 milioni e sarebbero, dicono gli ambientalisti locali, i più antichi: le prime coltivazioni risalgono alla Magna Grecia. Quelli calabresi sono ugualmente tra i più vecchi dell' intero bacino del Mediterraneo. Molti «commercianti» specializzati nel settore non si fermano alle piante ma in Calabria comprano (o depredano) campane di chiese abbandonate, fontanili, cancellate, interi pezzi di muri a secco. In Puglia spariscono le «chianche», le antiche pietre utilizzate per la pavimentazione tradizionale. Il tutto riappare al Nord debitamente ricostruito e venduto ovviamente a prezzi d' amatore per nobilitare i nuovi giardini di gran lusso accanto agli ulivi. Commenta Fulco Pratesi, presidente del Wwf-Italia: «L' ulivo nel giardino del Nord è diventata una stupida mania, una moda sciocca per ricchi come il pitone o il ghepardo in casa. Quella pianta non sopporta le temperature inferiori ai dieci gradi e quindi è frequentemente destinata a soccombere per le gelate dopo aver procurato un danno inestimabile alla natura e ai panorami più antichi d' Italia. Chi vuole adornare un giardino al Nord comperi piuttosto gli alberi locali: tassi, aceri per esempio. Sono ugualmente bellissimi e sono legati al luogo». Sono in tanti a battersi da tempo contro il traffico di ulivi. Il presidente di Italia Nostra della Calabria, la professoressa Teresa Liguori, ha chiesto la rapida approvazione di una legge regionale ma per ora non ha ottenuto alcuna assicurazione. La Puglia si sta mobilitando. Il comune di Ostuni ha vietato il trasporto delle piante secolari oltre il confine della città. Francesco Selicato, docente di Progettazione urbanistica alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari, ha fondato da poco il Parco agrario degli ulivi coinvolgendo i comuni di Monopoli, Fasano, Ostuni, Carovigno e San Vito dei Normanni proprio per coinvolgere culturalmente le popolazioni e divulgare nuove tecniche di coltura che possano attirare le nuove generazioni. L' assessore regionale all' ambiente, Michele Saccomanno, per ora ha deciso di inserire gli ulivi nell' Albo dei monumenti vegetazionali: i più antichi, promette, saranno tutelati. In particolare c' è il naturalista e attivista Wwf Gianni Picella (picella@infinito.it) che ha allestito una mostra itinerante in Italia («Il giardino degli ulivi» vista a Firenze, Milano, Roma) ed ha fondato il «Comitato per la salvaguardia degli ulivi secolari in Puglia». Ha raccolto 5.000 firme per realizzare il suo sogno: convincere l' Unesco a dichiarare quelle vetuste piante Patrimonio dell' umanità. Hanno già aderito Ippolito Pizzetti, docente di architettura del paesaggio a Firenze, l' architetto-paesaggista Paolo Pejrone, lo scrittore Fosco Maraini, l' ex soprintendente ai Beni archeologici pugliesi Mario de Cunzo, l' imprenditore e scrittore Gianfranco Dioguardi. Scrive Picella nel suo saggio dedicato alla mostra: «E' un patrimonio comune dell' umanità, memoria storica di una civiltà che va scomparendo insieme a una classe sociale, i contadini... bisogna salvare l' ulivo piantato dai Greci». E non solo gli ulivi, se continua così. Perché tra poco bisognerà occuparsi dei carrubi centenari. Anche quelli, in virtù della dilagante moda «mediterranea», cominciano ad essere richiestissimi nei vivai del Nord. Paolo Conti I numeri IN ITALIA L' Italia, secondo alcuni calcoli approssimativi, ospiterebbe in tutto 120-130 milioni di ulivi. Ve ne sarebbero circa 50 milioni in Spagna, 30 in Grecia, 20 in Turchia, 25 in Israele e 10 in Marocco IN PUGLIA Un quarto del territorio della Puglia (circa 15 milioni di alberi) è piantato a uliveti. I più antichi esemplari pugliesi risalirebbero addirittura alle prime piantagioni della Magna Grecia. Lo stesso primato è però vantato anche dalla regione Calabria L' allarme LA MODA La «corsa all' Ulivo» è una moda nata relativamente pochi anni fa con la riscoperta dei piaceri della cultura mediterranea (dalla cucina all' ambiente). Molti clienti del Nord ora richiedono per i loro parchi gli ulivi che notoriamente prosperano al Sud I PREZZI I prezzi ultimamente sono cresciuti: si va da un minimo di 5 mila euro per una pianta vecchia solo di uno-due secoli ai 10, anche 12 mila euro se invece l' esemplare sfiora il mezzo millennio di età: e in Puglia, così come in Calabria, non è difficile trovare questi monumenti naturali.
Dilaga la tratta degli ulivi secolari Sud depredato per i giardini del Nord
Gli ambientalisti: si distruggono panorami storici. E la pianta non sopravvive
Il messaggio online parte dalla provincia di Treviso e raggiunge www.gruppopugliagrotte.org, sito di speleologi e naturalisti pugliesi che ha attivato una finestra («aiuto ci rubano gli ulivi!») sulla tratta di alberi centenari, talvolta millenari, estirpati dalla loro terra. Avverte Cris: «Non so cosa ci facciano centinaia di ulivi a Castelfranco Veneto grossi 1-2 metri, mozzati e riposti in sacconi di nylon... Mi fa schifo pensare che qualcuno ci guadagni sopra questo mercato di capolavori vegetali. Per finire dove? In qualche giardino di un riccone pien de schei e ignorante? Non ho le prove che quegli ulivi siano tutti pugliesi, che depredino la vostra terra. Non voglio accusare nessuno. Dico solo: attenti a quello che succede nelle vostre campagne, perché ogni albero che viene sradicato e portato al Nord è l' equivalente per Venezia di una picconata sul pavimento di San Marco». Nord chiama Sud nel nome dell' ecologia. E non è un caso isolato. Anche su www.sitibellunesi.it/ulivi c' è chi racconta (in dialetto locale) e documenta con tanto di foto il fenomeno delle piante «esportate» dal Sud al Nord. I prezzi? Una media di 5 mila euro a pianta che possono diventare 10 o 12 mila, se non di più, quando i fusti sfiorano il mezzo millennio: più sono nodosi, contorti e simili a straordinarie sculture e più il prezzo lievita. Merce rara al Nord, che ovviamente fa gola. Sulla prima pagina del sito www.brianzaweb.it/guida alla voce «agricoltura e giardinaggio» c' è un operatore, con tanto di recapito telefonico, che assicura orgoglioso: «Vendita di ulivi secolari e millenari provenienti dal Salento, inzollati da tre anni». Il Sud sa benissimo di cosa si tratta. Le associazioni ambientaliste pugliesi e calabresi (soprattutto Italia Nostra e Wwf) da anni si battono contro lo sradicamento di ulivi persino millenari che vengono drasticamente potati e deportati nei vivai lombardi e veneti in una zolla di terra protetta da un telone di plastica. Ma pure nel Lazio, sulla via Pontina nel tratto tra Roma e le spiagge alla moda (Sabaudia, Circeo, Sperlonga), molti vivai vendono ulivi secolari ridotti nelle stesse condizioni. L' operazione (ed è questo il cruccio di molti ambientalisti) può essere legale. Un vecchio decreto luogotenenziale del 27 luglio 1945 vieta l' abbattimento degli ulivi ma lo permette nei casi di «permanente improduttività» a patto che il proprietario del fondo collochi una pianta nuova: basta una domanda (un tempo alla locale Camera di commercio, oggi all' ispettorato provinciale dell' Agricoltura) e il gioco è fatto perché un ulivo secolare può essere considerato tecnicamente «improduttivo» rispetto a uno giovane. Molte regioni hanno varato leggi regionali per vietare tassativamente il massacro: il Piemonte nel 1995, la Toscana nel 1998 e lo stesso Veneto nel 2002. Ma le due regioni più ricche di ulivi antichi, cioè la Puglia e la Calabria, ne sono completamente sprovviste. E così le campagne si sfigurano. Con compravendite «regolari»: due o tre centinaia di euro al vecchio contadino che non coltiva più il suo fondo e ha i figli ormai trasferiti in città. Nelle tenute più vaste e isolate (è successo in Puglia a Fasano) si arriva addirittura ai furti notturni con tanto di pala meccanica. Panorami secolari cambiano volto per sempre. In Puglia, intorno ai laghi di Conversano, le chiazze cominciano a diventare visibili e lasciano il posto a coltivazioni più redditizie (l' uva da vino): e così capita a Rutigliano. In Calabria la zona di Reggio conosce lo stesso fenomeno. Si segnalano «sparizioni» a Cirò Marina dove gli ambientalisti si sono da poco (inutilmente) battuti contro l' abbattimento di 280 ulivi secolari per far posto a un piano di ampliamento industriale. Il Wwf di Amantea ha documentato un anno fa il continuo viavai di Tir carichi di ulivi secolari sulla Statale 18 Tirrenica inferiore. Un lavoro facile, l' Italia è una miniera di ulivi. Secondo alcune stime di massima l' Italia dovrebbe ospitare 120-130 milioni di esemplari di Olea Europea contro i 50 della Spagna o i 30 della Grecia. La Puglia da sola ne avrebbe 15-20 milioni e sarebbero, dicono gli ambientalisti locali, i più antichi: le prime coltivazioni risalgono alla Magna Grecia. Quelli calabresi sono ugualmente tra i più vecchi dell' intero bacino del Mediterraneo. Molti «commercianti» specializzati nel settore non si fermano alle piante ma in Calabria comprano (o depredano) campane di chiese abbandonate, fontanili, cancellate, interi pezzi di muri a secco. In Puglia spariscono le «chianche», le antiche pietre utilizzate per la pavimentazione tradizionale. Il tutto riappare al Nord debitamente ricostruito e venduto ovviamente a prezzi d' amatore per nobilitare i nuovi giardini di gran lusso accanto agli ulivi. Commenta Fulco Pratesi, presidente del Wwf-Italia: «L' ulivo nel giardino del Nord è diventata una stupida mania, una moda sciocca per ricchi come il pitone o il ghepardo in casa. Quella pianta non sopporta le temperature inferiori ai dieci gradi e quindi è frequentemente destinata a soccombere per le gelate dopo aver procurato un danno inestimabile alla natura e ai panorami più antichi d' Italia. Chi vuole adornare un giardino al Nord comperi piuttosto gli alberi locali: tassi, aceri per esempio. Sono ugualmente bellissimi e sono legati al luogo». Sono in tanti a battersi da tempo contro il traffico di ulivi. Il presidente di Italia Nostra della Calabria, la professoressa Teresa Liguori, ha chiesto la rapida approvazione di una legge regionale ma per ora non ha ottenuto alcuna assicurazione. La Puglia si sta mobilitando. Il comune di Ostuni ha vietato il trasporto delle piante secolari oltre il confine della città. Francesco Selicato, docente di Progettazione urbanistica alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari, ha fondato da poco il Parco agrario degli ulivi coinvolgendo i comuni di Monopoli, Fasano, Ostuni, Carovigno e San Vito dei Normanni proprio per coinvolgere culturalmente le popolazioni e divulgare nuove tecniche di coltura che possano attirare le nuove generazioni. L' assessore regionale all' ambiente, Michele Saccomanno, per ora ha deciso di inserire gli ulivi nell' Albo dei monumenti vegetazionali: i più antichi, promette, saranno tutelati. In particolare c' è il naturalista e attivista Wwf Gianni Picella (picella@infinito.it) che ha allestito una mostra itinerante in Italia («Il giardino degli ulivi» vista a Firenze, Milano, Roma) ed ha fondato il «Comitato per la salvaguardia degli ulivi secolari in Puglia». Ha raccolto 5.000 firme per realizzare il suo sogno: convincere l' Unesco a dichiarare quelle vetuste piante Patrimonio dell' umanità. Hanno già aderito Ippolito Pizzetti, docente di architettura del paesaggio a Firenze, l' architetto-paesaggista Paolo Pejrone, lo scrittore Fosco Maraini, l' ex soprintendente ai Beni archeologici pugliesi Mario de Cunzo, l' imprenditore e scrittore Gianfranco Dioguardi. Scrive Picella nel suo saggio dedicato alla mostra: «E' un patrimonio comune dell' umanità, memoria storica di una civiltà che va scomparendo insieme a una classe sociale, i contadini... bisogna salvare l' ulivo piantato dai Greci». E non solo gli ulivi, se continua così. Perché tra poco bisognerà occuparsi dei carrubi centenari. Anche quelli, in virtù della dilagante moda «mediterranea», cominciano ad essere richiestissimi nei vivai del Nord. Paolo Conti I numeri IN ITALIA L' Italia, secondo alcuni calcoli approssimativi, ospiterebbe in tutto 120-130 milioni di ulivi. Ve ne sarebbero circa 50 milioni in Spagna, 30 in Grecia, 20 in Turchia, 25 in Israele e 10 in Marocco IN PUGLIA Un quarto del territorio della Puglia (circa 15 milioni di alberi) è piantato a uliveti. I più antichi esemplari pugliesi risalirebbero addirittura alle prime piantagioni della Magna Grecia. Lo stesso primato è però vantato anche dalla regione Calabria L' allarme LA MODA La «corsa all' Ulivo» è una moda nata relativamente pochi anni fa con la riscoperta dei piaceri della cultura mediterranea (dalla cucina all' ambiente). Molti clienti del Nord ora richiedono per i loro parchi gli ulivi che notoriamente prosperano al Sud I PREZZI I prezzi ultimamente sono cresciuti: si va da un minimo di 5 mila euro per una pianta vecchia solo di uno-due secoli ai 10, anche 12 mila euro se invece l' esemplare sfiora il mezzo millennio di età: e in Puglia, così come in Calabria, non è difficile trovare questi monumenti naturali.