Quando la passione diventa amore, allora l’amore si trasforma in arte.
È questo che fa a New York il giovane chef Antonio Mermolia, cresciuto a Gioia Tauro, trasforma l’amore in arte. L’amore per la sua famiglia, per la sua Calabria e per la sua Italia, tutto espresso nei piatti che propone ai clienti del ristorante in cui lavora a New York, per l'esattezza a Manhattan, un paio di "blocks" da Times Square. La cucina de “Il Punto”, nella Grande Mela, il suo mondo fino alle 2:00 di notte. Eppure, prima di approdare al mondo dell’arte culinaria, il 29enne Antonio, era tutt’altro. Giocatore professionista di basket, senza basi per approcciare al mondo della ristorazione, un giorno decide di fare il cuoco e ci riesce bene. La sensazione che si ha parlando con lui non è di chi, lavorando in una città come New York, ne “Il Punto”, il ristorante italiano di “Hell's Kitchen”, si senta in qualche modo arrivato, ma di un ragazzo semplice, che ha mantenuto la genuinità e l’umiltà di chi, e lo ammette lui stesso candidamente, ha “ancora tutto da imparare”.
“Io sono una specie di autodidatta, non ho fatto la scuola alberghiera – racconta –. Ho sempre cucinato, però, mi è sempre piaciuto farlo, come agli altri membri della mia famiglia”. Il suo approccio al cibo è, tuttavia, particolare. Da quando era piccolo, infatti, Antonio presta molta attenzione ai sapori delle pietanze ed alla loro qualità. “Se mia madre cucinava una semplice carne arrosto, se la carne non era della qualità giusta io restavo senza cena, preferivo non mangiare. Mi sono sempre rifiutato di mangiare quello che per me non era buono. Ricordo che dicevo a mia madre ‘Ma dove l’hai comprato questo? Non l’hai preso nel solito posto…?’”. Una ricercatezza di gusto che Antonio porta con sé nella sua esperienza in cucina.
Il basket lo tiene lontano da casa per parecchi anni, ma quando torna, perché stanco di stare separato dalla famiglia e di vivere una vita troppo sacrificata, decide di continuare a giocare nella squadra locale di Gioia Tauro, così da poter coltivare tutte le sue passioni, che non sono poche. “Sentivo di poter fare altre cose e quel tipo di vita mi limitava. All’interno del ristorante mi sono appassionato alla musica ed alla pittura. Non mi chiedere come è nato questo amore per la pittura perché non lo so”. Un giorno, difatti, dipinge una tela per caso e da allora non si è più fermato. “Per ora è solo una passione, anche qui a New York ho dipinto, ma non ci vado proprio nelle gallerie d’arte, perché per ora non è nei miei obiettivi, in futuro non so e comunque non credo che potrei mai competere”. Ma in fondo cos’è l’arte culinaria se non dipingere con impegno su un piatto qualcosa che oltre ad essere bello è anche buono?
Muove i suoi primi passi nella cucina dell’hotel dei genitori, Marisa e Salvatore, e all’inizio, quando l’hotel inaugura, non entra in cucina, ma si dedica al lavoro in sala. Studia per diventare sommelier e, quando può, legge libri di cucina. Quando, però, in punta di piedi, si avvicina ai fornelli per aiutare il papà, scopre un mondo, il suo mondo.
La sera dopo il lavoro, torna a casa e analizza le tecniche di cucina che hanno fatto grandi i grandi della cucina. Prova e riprova queste tecniche nella cucina dell’hotel, il suo laboratorio, le associa alla cucina tradizionale, utilizza solo ed esclusivamente ingredienti di prima scelta, come la pasta di Gragnano, l’olio d’Aspromonte, ed il gioco è fatto, i piatti serviti ai clienti dell’hotel sono buoni e preparati con gli ingredienti migliori.
Da quasi un anno in America, Antonio arriva a Manhattan per caso convinto di fare un’esperienza formativa, che lo arricchisse, di un mese al massimo, poi, invece, ci è rimasto.
Il vecchio manager del ristorante “Il Punto” cerca uno chef capace di cambiarne l’immagine. Contatta Antonio, lo conosce all’opera nel suo ristorante e da lì al volo di sola andata per New York, il passo è breve. Antonio, comunque, non dimentica la sua terra, porta sul tavolo dei suoi clienti quella che lui definisce “la tradizione, con qualcosa di mio, ma con grande rispetto!”.
Eh sì, perché per lo chef Mermolia, la tradizione è qualcosa di sacro che non si può stravolgere e che oggi è tornata ad essere la forza e la più grande ricchezza della ristorazione e della cucina italiana. Rivoluzione in cucina, direbbe forse qualcuno se leggesse il menu de “Il Punto”, ma quella rivoluzione si chiama tradizione, con la “T” maiuscola. Certo la tradizione di Antonio è diversa dalla solita calabrese, perché contaminata dalla Campania, regione d’origine dei suoi nonni materni. Così, torna sui tavoli l’antica ricetta amalfitana delle melanzane al cioccolato, che lui serve alla sua maniera, oppure la stroncatura di alici, un tipo di pasta tipico della zona di Gioia Tauro.
Tutto questo secondo Antonio non va stravolto perché bisogna rispettare la storia della cucina per poter un giorno scriverla. “Quello che noi oggi chiamiamo tradizione un tempo era attualità e quello che oggi per noi è attuale un giorno sarà tradizione, per questo bisogna avere rispetto per tutto, specie qui a New York dove è facile perdersi”.
E per non perdere di vista ciò che, se si volta indietro a guardare, scorge tra le mani di mamma Marisa o delle sue nonne, il tenace e caparbio Antonio si fa ispirare da tutta la ristorazione italiana. “È questo che mi dà la forza di essere il più possibile autentico qui a New York. Siamo italiani e la nostra forza è legata alle nostre radici. Questo penso!”.
Quello che lo affascina, non è ciò che cucina in sé, ma l’idea di quello che sta facendo assieme al proprietario Tony Pecora, ad Antonio, Giancarlo, Paola, Armando, Vittorio, Fabio, Mauro, Juan Pablo, Bernabe, Lionel, Serafino, Oscar, Rodrigo, Filiberto, Edoardo, Rafael, Luis, Maria, Rigoberto, Jesus, insomma “ai ragazzi”, dice lui. L’idea di fare qualcosa di autentico che rappresenti veramente ciò che pensa, ciò che è. “Che poi sia innovazione o tradizione poco importa, l’importante è che esprima fedelmente me stesso, se poi alla gente piace pure, ben venga. Non deve essere obbligatoriamente la cosa più buona che abbiano mangiato, ma semplicemente qualcosa di diverso, un pensiero diverso”.
Inconsapevole, di realizzare filosofia del cibo, Antonio, ancora non sa quando e se finirà la sua avventura a New York ed è prontissimo a tornare nella sua amata Calabria senza rimpianti, a riprendere il posto nella cucina dove ha mosso i primi passi. Lui, che al mattino, racconta con molta semplicità, si alza “alle 8:45, perché New York è una città che non si sveglia presto per nulla”, e soffre la solitudine di vivere lontano dagli affetti, in una metropoli dove sei un puntino fra i puntini, lo immaginiamo a casa sua, ai fornelli, a cucinare stancamente, quell’uovo al tegamino col pomodoro che “se mi chiedessi ‘prima di morire cosa vorresti mangiare?’ ti direi ‘l’uovo fatto in padella col pomodoro e un po’ di pane per fare la scarpetta’!”.
Semplicemente semplice.
“Io sono una specie di autodidatta, non ho fatto la scuola alberghiera – racconta –. Ho sempre cucinato, però, mi è sempre piaciuto farlo, come agli altri membri della mia famiglia”. Il suo approccio al cibo è, tuttavia, particolare. Da quando era piccolo, infatti, Antonio presta molta attenzione ai sapori delle pietanze ed alla loro qualità. “Se mia madre cucinava una semplice carne arrosto, se la carne non era della qualità giusta io restavo senza cena, preferivo non mangiare. Mi sono sempre rifiutato di mangiare quello che per me non era buono. Ricordo che dicevo a mia madre ‘Ma dove l’hai comprato questo? Non l’hai preso nel solito posto…?’”. Una ricercatezza di gusto che Antonio porta con sé nella sua esperienza in cucina.
Il basket lo tiene lontano da casa per parecchi anni, ma quando torna, perché stanco di stare separato dalla famiglia e di vivere una vita troppo sacrificata, decide di continuare a giocare nella squadra locale di Gioia Tauro, così da poter coltivare tutte le sue passioni, che non sono poche. “Sentivo di poter fare altre cose e quel tipo di vita mi limitava. All’interno del ristorante mi sono appassionato alla musica ed alla pittura. Non mi chiedere come è nato questo amore per la pittura perché non lo so”. Un giorno, difatti, dipinge una tela per caso e da allora non si è più fermato. “Per ora è solo una passione, anche qui a New York ho dipinto, ma non ci vado proprio nelle gallerie d’arte, perché per ora non è nei miei obiettivi, in futuro non so e comunque non credo che potrei mai competere”. Ma in fondo cos’è l’arte culinaria se non dipingere con impegno su un piatto qualcosa che oltre ad essere bello è anche buono?
Muove i suoi primi passi nella cucina dell’hotel dei genitori, Marisa e Salvatore, e all’inizio, quando l’hotel inaugura, non entra in cucina, ma si dedica al lavoro in sala. Studia per diventare sommelier e, quando può, legge libri di cucina. Quando, però, in punta di piedi, si avvicina ai fornelli per aiutare il papà, scopre un mondo, il suo mondo.
La sera dopo il lavoro, torna a casa e analizza le tecniche di cucina che hanno fatto grandi i grandi della cucina. Prova e riprova queste tecniche nella cucina dell’hotel, il suo laboratorio, le associa alla cucina tradizionale, utilizza solo ed esclusivamente ingredienti di prima scelta, come la pasta di Gragnano, l’olio d’Aspromonte, ed il gioco è fatto, i piatti serviti ai clienti dell’hotel sono buoni e preparati con gli ingredienti migliori.
Da quasi un anno in America, Antonio arriva a Manhattan per caso convinto di fare un’esperienza formativa, che lo arricchisse, di un mese al massimo, poi, invece, ci è rimasto.
Il vecchio manager del ristorante “Il Punto” cerca uno chef capace di cambiarne l’immagine. Contatta Antonio, lo conosce all’opera nel suo ristorante e da lì al volo di sola andata per New York, il passo è breve. Antonio, comunque, non dimentica la sua terra, porta sul tavolo dei suoi clienti quella che lui definisce “la tradizione, con qualcosa di mio, ma con grande rispetto!”.
Eh sì, perché per lo chef Mermolia, la tradizione è qualcosa di sacro che non si può stravolgere e che oggi è tornata ad essere la forza e la più grande ricchezza della ristorazione e della cucina italiana. Rivoluzione in cucina, direbbe forse qualcuno se leggesse il menu de “Il Punto”, ma quella rivoluzione si chiama tradizione, con la “T” maiuscola. Certo la tradizione di Antonio è diversa dalla solita calabrese, perché contaminata dalla Campania, regione d’origine dei suoi nonni materni. Così, torna sui tavoli l’antica ricetta amalfitana delle melanzane al cioccolato, che lui serve alla sua maniera, oppure la stroncatura di alici, un tipo di pasta tipico della zona di Gioia Tauro.
Tutto questo secondo Antonio non va stravolto perché bisogna rispettare la storia della cucina per poter un giorno scriverla. “Quello che noi oggi chiamiamo tradizione un tempo era attualità e quello che oggi per noi è attuale un giorno sarà tradizione, per questo bisogna avere rispetto per tutto, specie qui a New York dove è facile perdersi”.
E per non perdere di vista ciò che, se si volta indietro a guardare, scorge tra le mani di mamma Marisa o delle sue nonne, il tenace e caparbio Antonio si fa ispirare da tutta la ristorazione italiana. “È questo che mi dà la forza di essere il più possibile autentico qui a New York. Siamo italiani e la nostra forza è legata alle nostre radici. Questo penso!”.
Quello che lo affascina, non è ciò che cucina in sé, ma l’idea di quello che sta facendo assieme al proprietario Tony Pecora, ad Antonio, Giancarlo, Paola, Armando, Vittorio, Fabio, Mauro, Juan Pablo, Bernabe, Lionel, Serafino, Oscar, Rodrigo, Filiberto, Edoardo, Rafael, Luis, Maria, Rigoberto, Jesus, insomma “ai ragazzi”, dice lui. L’idea di fare qualcosa di autentico che rappresenti veramente ciò che pensa, ciò che è. “Che poi sia innovazione o tradizione poco importa, l’importante è che esprima fedelmente me stesso, se poi alla gente piace pure, ben venga. Non deve essere obbligatoriamente la cosa più buona che abbiano mangiato, ma semplicemente qualcosa di diverso, un pensiero diverso”.
Inconsapevole, di realizzare filosofia del cibo, Antonio, ancora non sa quando e se finirà la sua avventura a New York ed è prontissimo a tornare nella sua amata Calabria senza rimpianti, a riprendere il posto nella cucina dove ha mosso i primi passi. Lui, che al mattino, racconta con molta semplicità, si alza “alle 8:45, perché New York è una città che non si sveglia presto per nulla”, e soffre la solitudine di vivere lontano dagli affetti, in una metropoli dove sei un puntino fra i puntini, lo immaginiamo a casa sua, ai fornelli, a cucinare stancamente, quell’uovo al tegamino col pomodoro che “se mi chiedessi ‘prima di morire cosa vorresti mangiare?’ ti direi ‘l’uovo fatto in padella col pomodoro e un po’ di pane per fare la scarpetta’!”.
Semplicemente semplice.
Fonte: strill.it
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